Caro mondo!

gennaio 9, 2011 § 1 Commento

 lidia gargiulo

Da un’arteria della città si diramano altre vie a collegare il quartiere con altri quartieri; in fondo in fondo a una di queste strade, finita le discesa, quando l’asfalto svolta e ricomincia la salita (dove sbucherà?) c’è un piazzale, sarebbe il sagrato ma non ci sono scale, di una chiesina di periferia. Musica, vociare di bambini, richiami di mamme e papà, la confusione tipica delle feste, che non impedisce a una bella voce giovane di cantare al microfono in karaoke. C’è anche l’altalena e c’è uno scivolo, presi d’assalto con fedele ostinazione da bambini instancabili. Intorno intorno gli adulti seduti su panchine di metallo sorvegliano a distanza, richiamano senz’ansia i piccoli poi tornano a chiacchierare fra loro, donne per lo più; presenti ma in disparte gli uomini parlano di partite e di lavoro, di tanto in tanto fumano.

Bambini biondi rumeni e moldavi, bambini scuri dagli occhi lucenti di Capoverde, Nordafrica, Senegal. Su una tavoletta a rotelle e briglie di corda un bambino-ragazzo si aggira tra le gambe degli altri, nero e bianco tra pelle e sorriso, instancabile, ma una manovra brusca lo disarciona a terra, inerte, a faccia in giù; un uomo è accorso, lo ha sollevato e lo ho rimesso a sedere sulla carrozzella. Nessuna lacrima, nessun lamento, nessun rimprovero, sanno tutti e due, lo sanno tutti, che le gambe non funzionano, non bisogna esagerare a sentirsi “proprio come gli altri”; lo dice senza parlare l’adulto che l’ha soccorso, lo dice la faccia del ragazzo ferma sul segreto colloquio fra paura e prudenza. Una bionda robusta tiene per mano due bambine chiare, vanno all’angolo del buffet: acqua, bibite, fette di torta, biscotti, popcorn: le bimbe guardano, la madre in piedi indica le cose, scelgono, vanno via. Sul muro il programma colorato di questo pomeriggio, disegni dei bambini, biglietti-commenti dei visitatori, le poesie dei bambini. “Caro mondo” è il tema, che cosa chiedete al mondo?

A questa festa dell’Intercultura mi ha invitata Tatiana, l’organizzatrice. È lei che scandisce al microfono le fasi e il senso di questo pomeriggio, annuncia l’intervallo musicale della «nostra bravissima cantante» (veramente brava, intonata e già professionale, anche se un po’ troppo somigliante ad altre). Vieni alla festa, mi aveva detto quando ci aveva presentate un’amica comune, ci eravamo riviste anche dopo e mi aveva ripetuto l’invito. E allora vado, mi sono detta, non è molto lontano e la giornata è bella, c’è ancora tanto sole in questo pomeriggio e non c’è traffico. Ed è domenica, la domenica mi piace andare in posti che non conosco, e poi è una cosa aperta, senza orario.

«Una danza moldava − sento la voce di Tatiana – ora balliamo tutti sulla musica moldava, anche chi non viene dalla Moldavia». Le donne lasciano le panchine, fanno cerchio, ballano serie e leggere ad occhi bassi e poi più sciolte fanno le prime giravolte sorridendo, si guardano negli occhi, si avvicinano, si allontanano nelle figure della danza. Un ragazzo, poi un uomo entrano nel cerchio, le donne applaudono, intessono altre figure. E Tatiana al microfono: «Ed ora, dopo la musica moldava, una musica capoverdiana e anche noi moldavi balleremo sulla musica di Capoverde».

Intercultura: per ora solo loro, i bambini, fanno intercultura “al naturale” con altalena e scivolo, e poi le corse, e poi lo sguardo: sono tutti vestiti all’italiana ma c’è in ognuno qualcosa nella pelle, nei capelli, nella voce, che li distingue; loro, i piccoli, imparano le differenze senza classificare, senza giudicare. I grandi, invece, dopo il ballo si cercano fra loro, ritrovano la lingua di famiglia e ognuno torna un poco a casa.

Tatiana in Moldavia insegnava russo, qui lavora a un progetto di integrazione e intercultura. Quando vado a salutarla s’illumina, sono l’unica italiana presente. Avrà invitato, immagino, non solo me, ma per ora ci sono solo io, a questa festa – come dire? – di pianerottolo più che di quartiere.

«Ora leggiamo qualche poesia – continua Tatiana – ma devo dire una cosa: le poesie le leggo io perché i bambini mi hanno già detto che non vogliono leggere. Scrivere sì, ma leggere no. Sono timidi. Leggo questa che è di Marco. “Caro mondo, io ti chiedo la pace, la salute per i nonni, per mia sorella e soprattutto per la signora che sta in coma perché un ragazzo le ha dato un pugno troppo forte”. Ora leggiamo la poesia di Victor: “Caro Mondo, io lo so che tu sei il mondo, ma siccome ti sto parlando come se fossi un uomo, ti scrivo con la maiuscola. Caro Mondo, tu sei nostro padre e io ti voglio conoscere tutto. Dammi tanti amici italiani per giocare in italiano. Così imparo prima”. E questa l’ha scritta la più piccola, eccola, si chiama Lucia, Lucia, perché scappi? Si vergogna: – “Caro mondo, fammi stare sempre con la mia cugina Silvia, io le voglio molto bene. Caro mondo, dacci una vita di pace. A me piace la nutella”. Questa è di Nikolas: “Caro mondo, sei sempre in guerra, ma non sei stanco a stare sempre in guerra? Io sono stanco, pensa come sarò da grande se comincio così. Come facciamo a vivere se tu non ti riposi? E poi, potresti mettere un po’ di sale nella zucca degli uomini?”. E questa è la poesia di Stella: “Caro mondo, sono una piccola stella e dal mio cielo vedo brutte cose di te. Ci sono famiglie che se ne devono andare via da casa perché non hanno lavoro e non guadagnano. Tu dovresti far venire mal di lingua a quelli che parlano male di noi”. “Caro mondo…”, “Caro mondo…”,“Caro mondo…”, …».

Tatiana mi chiede di dire qualche cosa al microfono, non ero preparata ma non mi faccio pregare, dico “Benvenuti” a nome mio e anche a nome di chi non c’è, dico che l’italiano pronunciato da chi parla un’altra lingua è un po’ buffo ma è simpatico, a volte sembra più nuovo; quando si incontrano le persone, anche le lingue s’incontrano, si scambiano parole, si trasformano, a volte cambiano significato. Non è facile l’amicizia tra gente che non si conosce, in tempi che non sono facili, ma ogni popolo ha molto da imparare e molto da insegnare a un altro popolo.

Applauso, come di dovere, ma una certa vibrazione, in me e in loro, in quelle donne che hanno lasciato la casa per un’altra casa che non c’era ancora. Poi vado via, la musica è troppo forte. [école 79, dicembre 2010]

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